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L’Eremo di Lanzo
L’Eremo di Lanzo

L’Eremo di Lanzo

Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita senza mai scalfire la superficie dei luoghi, né imparare nulla delle genti appena sfiorate. Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare.
Pino Cacucci

Questo complesso vanta una storia secolare, ma è stato trascurato e lasciato in stato di grave abbandono. Non ho mai condiviso le fotografie di questo luogo, che sono rimaste per anni nel mio archivio, forse perché trovavo vergognoso che una chiesa del Seicento così affascinante fosse lasciata in tali condizioni di incuria e degrado.

Iniziamo dall’inizio per raccontare questa storia: i monaci Camaldolesi del Piemonte nacquero dopo la separazione di Alessandro Ceva dalla Casa madre di Arezzo, una ramificazione riformata dell’Ordine Benedettino, mantenendo però una continuità con la regola di San Romualdo, redatta all’inizio dell’anno Mille.

Ceva riuscì a ottenere il supporto di Casa Savoia, favorendo la nascita di un ordine religioso di fiducia, parzialmente autonomo da Roma. La storia dei Camaldolesi del Piemonte si intreccia con quella dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, massima onorificenza cavalleresca di Casa Savoia, garantendo prosperità per due secoli. La ricchezza degli arredi sacri dei monasteri camaldolesi non ha eguali proprio grazie a queste fortunate alleanze.

L’ordine costruì il suo primo eremo a Pecetto nel 1602, in una posizione panoramica sulle colline di Torino, come ringraziamento per la fine della peste del 1599. Questa chiesa, che divenne la Casa madre dei Camaldolesi del Piemonte, fu affiancata nel Seicento dai monasteri di Belmonte presso Busca (1614), di Santa Maria in Selvamaggiore a Cherasco (1618 – rifondato nel 1675) e infine con quello di Lanzo Torinese nel 1661.

Attivi fino alla Rivoluzione francese, i monasteri furono soppressi nel 1801. L’unico a sopravvivere fu quello di Lanzo, dove i monaci riuscirono a mantenere l’istituzione, nonostante le difficoltà finanziarie, proseguendo l’esperienza cenobitica e monastica con mezzi propri e vivendo di elemosina.

La chiesa fu costruita grazie alle donazioni della facoltosa famiglia Graneri, in particolare da Gaspare Graneri. I Graneri, arricchitisi con le miniere di ferro e la lavorazione del metallo, acquisirono prima il feudo di Mercenasco e poi La Roche in Francia, diventando Graneri della Roccia con il titolo di marchesi. Furono anche i costruttori del celebre Palazzo Graneri di via Bogino a Torino, oggi sede del Circolo dei Lettori (fu il figlio di Gaspare, Marco Antonio, a volerne l’edificazione).

Il complesso, progettato dall’ingegnere Francesco Lanfranchi a partire dal 1661, comprende una chiesa seicentesca, un monastero e un parco di 175 ettari, donato all’ordine camaldolese. Il progetto lanfranchiano prevedeva oltre la costruzione della grande chiesa con la facciata rivolta verso Torino, la realizzazione di grandi porticati nel retro della stessa sui quali affacciavano gli spazi di clausura, i parlatori, la foresteria, il chiostro, l’infermeria e i giardini. Le celle erano strutturate come piccole casette indipendenti con un giardino cintato disposte in file di quattro. Vennero edificati tutti gli edifici originariamente progettati ma col tempo buona parte di essi venne abbandonato e demolito. Ai giorni nostri restano solo, della costruzione originaria, la chiesa, il muro perimetrale e i ruderi di un’unica cella monacale. Nella chiesa restano ancora, sempre più degradati, gli stucchi decorativi della stessa.

Nel 1918 il monastero fu convertito dalla Croce Rossa Italiana in sanatorio per reduci di guerra e successivamente per la cura della tubercolosi femminile.

Negli anni ’60 del Novecento, fu costruito all’interno del parco un edificio ospedaliero, riconvertito in residenza assistenziale nel 1995 e definitivamente chiuso nel 2013. Da allora tutto fu abbandonato… ho visitato questo luogo nel 2018 ed ancora lo porto nel cuore per la sua bellezza e la sua triste storia

Potete vedere la parte del Rsa costruita nel parco qui: Distruzione e abbandono

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