VIGNA R.
Per prima cosa il giardino. Non dovrebbe mai mancare intorno a una villa. Verde spirito della casa, custodisce come un geloso guardiano l’intimità dell’abitare.
Se rigoglioso e ben curato potrebbe ospitare anche un folletto e allora, dice la leggenda, la fortuna sarà con voi.
(Giuseppe M. Jonghi Lavarini)
La collina di Torino è la porzione che forma un quadrilatero da San Mauro a Moncalieri, a Chieri, a Baldissero fino a richiudersi a San Mauro. E’ la montagna della citta sui cui pendii sono sparsi diversi nuclei abitati.
Siamo già andati alla scoperta di diverse case in questa zona e la più famosa, di cui ho raccontato la storia, rimane sicuramente quella chiamata La villa del Diavolo o meglio la vigna Capriglio.
Quella che vi presento in questo articolo invece è nascosta tra i boschi che separano il lungo Po da Superga, si intravede un tetto rosso in mezzo al verde degli alberi sulle mappe. Non era da sola in questa mia esplorazione ma accompagnata da un giornalista di Torino che ringrazio per avermi raccontato tante nuove informazioni che non conoscevo.
Per prima cosa mi ha spiegato la differenza tra le Ville e Vigne costruite qui in collina.
La villa era un edificio di proprietà in cui si eleggeva la propria residenza, di solito principale La vigna invece era una proprietà più complessa, di solito articolata in villa del proprietario, casa agricola del mezzadro (la mezzadria è numerosa a Torino sino alla fine del Settecento, in piena città)e terreni coltivati in svariati modi. In collina era naturale ci fossero piante da frutto e uve (da qui può esser nato il toponimo di “vigna”). Alcune di queste vigne furono costruite dai regnanti di casa savoia o dalle loro consorti (così nasce la Villa della Regina in cima alla omonima via) o la Vigna di Madama Reale che oggi si chiama Villa Abegg, sede della Compagnia di San Paolo.
Mi ha anche parlato di diversi libri che hanno censito e mappato tutti questi edifici della collina torinese.
Il primo è datato 1796 ed è scritto dall’architetto Amedeo Grossi, si intitola “Torino in pianta dimostrativa” con numeri indicanti tutti i proprietari. delle case, distinzione delle Chiese con lettere alfabetiche e descrizione delle contrade, piazze e luoghi principali e aveva l’obiettivo di fornire un quadro preciso della situazione fondiaria urbana, attraverso il rilevamento degli edifici numerati con accanto i nomi dei loro proprietari.
Nella lunga legenda posta sulla carta a destra, sono riportati i nomi dei proprietari con a fianco il numero dell’edificio indicato in pianta. Negli anni successivi l’elenco dei nomi è sempre stato regolarmente aggiornato, così da fornire non solo il censimento sistematico degli edifici ma soprattutto quello dei proprietari, utile quest’ultimo per comprendere il forte rapporto esistente tra Torino e il suo territorio.
La coincidenza dell’identità del possesso fondiario e immobiliare è infatti verificato su tre realtà economiche differenti – la città, la collina e la pianura – e viene dimostrato, ad esempio, che in molti casi che un ricco proprietario possedeva, alla fine del Settecento, un palazzo urbano di rappresentanza, una vigna collinare per la villeggiatura ed una cascina-villa nelle zone pianeggianti che gli garantiva un sicuro reddito.
Con questa mappa Amedeo Grossi fornisce dunque un basilare strumento per lo studio della topografia settecentesca anticipando concettualmente, ma senza risolverlo, il problema della determinazione del domicilio dei torinesi, che troverà la sua soluzione di lì a poco, attraverso la numerazione delle porte delle case, con la Municipalità repubblicana.
Oltretutto proprio grazie alla concezione di questa carta prenderà il via, nel 1802, l’organizzazione del catasto comunale di Torino istituito dall’amministrazione francese.
Nella seconda metà del Novecento, Elisa Gribaudi Rossi pubblicò altre due opere miliari su questo argomento:
Cascine e ville della pianura torinese (1 volume) – Ed. Le Bouquiniste – 1970
Ville e vigne della collina torinese (2 volumi) – Piero Gribaudi Editore – 1981
Per ritornare però alla “Vigna” che abbiamo esplorato dopo un periodo privato come cascina e residenza con una vista verso la città più in basso che donava pace e serenità, fu sede staccata del dipartimento universitario di agricoltura per poi essere abbandonata verso fine anni novanta. Ora rimangono all’interno i resti di un cantiere mai terminato che forse doveva riportarla a residenza privata ma che ha lasciato solamente enormi cumuli di spazzatura. Molto bella la chiesetta privata di questa dimora che trovere negli ultimi due scatti.
Tutto quello che ho scritto è anche per ricordarvi che l’ esplorazione urbana non deve e non può essere solo la moda del momento, non è solo ‘adrenalina e l’emozione di entrare in un “luogo proibito” ma deve essere qualcosa per ricordarci la storia di questi luoghi, un modo per documentare e scoprire nuove cose, anche grazie ai racconti di chi ha studiato e ricercato queste storie negli anni passati.
Queste ville ,che vediamo in stato di abbandono oggi ,magari tra qualche anno potrebbero non esserci più come la famosa Villa dell’Oracolo che a causa di un incendio è andata irrimediabilmente distrutta, ma rivivranno per sempre spero nelle fotografie che abbiamo scattato.