“L’amore è un trucco inventato dagli uomini per non dover fare il bucato!” Joël Dicker, libro La verità sul caso Harry Quebert
Qualche mese fa, esplorando questo luogo, sono rimasta affascinata da questa “stanza”. Non è una veranda vera e propria, ma una zona coperta che collega due parti della villa: il retro e un piccolo magazzino poco distante. Una sorta di terra di mezzo, forse un presagio, perché anche io, in questi giorni, mi trovo in un limbo. Un limbo lattiginoso, simile alla luce che filtrava attraverso il plexiglass che ricopriva questo spazio. Vedo la luce che entra da fuori, ma sono ancora bloccata, incapace di avviarmi verso l’uscita, forse per la bellezza dei ricordi o per la speranza che ho nutrito fino all’ultimo.
Ho dedicato molto tempo a fotografare ogni cosa qui dentro, catturando anche i più minuti dettagli. Quelle piccole mollette appese a un filo mi sembravano come me ora: ho già preso un’altra direzione, ma non riesco ancora a staccarmi del tutto e a scegliere chi voglio essere. Le mollette appartengono a un mondo tutto loro, un mondo immaginario. Possono trascorrere anni esposte alle intemperie e al sole, sostenendo i panni, oppure trasformarsi in piccoli soldatini nei giochi dei bambini. Hanno il compito di tenere insieme le cose, proprio come ho fatto io per troppo tempo. Ora è giunto il momento di diventare qualcos’altro, anche se non so cosa mi riserva il futuro. Comunque vada forse ora è tempo di cambiamenti…
EPILOGO: Mentre raccoglievo idee per questo articolo, ho scoperto molte informazioni sulle mollette. La molletta in legno fu brevettata nel 1853 da D.M. Smith, originario del Vermont. Successivamente, un italiano di nome Mario Maccaferri, nel 1944, ne creò una versione in plastica molto resistente. Maccaferri aveva deciso di migliorare il design di Smith dopo che sua moglie si era lamentata che tutte le mollette di legno erano rotte o marcite a causa dell’umidità dei panni.
Vi riporto sotto anche un estratto magnifico tratto da un libro che ho trovato e che merita di essere letto e soprattutto vi lascio le mie foto della famosa veranda.
Aveva osservato a lungo quel piccolo oggetto composto da due elementi che si incastrano ed aderiscono tra loro alla perfezione uniti da una molla centrale. La molla estende due piccoli segmenti di acciaio che si allungano ad abbracciare i due elementi, tenendoli insieme. Per un tempo indeterminato le due unità si aggrappano al filo dello stendibiancheria in perfetta sintonia trattenendo gli indumenti con efficacia. Per un tempo indeterminato le due metà si divaricano e si riavvicinano, si aprono e si chiudono senza esitazioni, senza spiragli di luce tra l’aderire dei loro corpi. Per un tempo indeterminato la molletta è affidabile, solida, come fosse costruita da un unico pezzo. Poi, un giorno, all’improvviso, mentre apriamo la nostra molletta, ecco esplodere la disarmonia, ecco la piccola e tenace molla sovvertire il suo ruolo con una torsione sconcertante e rimanere avvinghiata ad uno degli elementi mentre l’altro schizza via, lontano, senza alcun motivo apparente. Inutile tentare di ricomporre la molletta, per quanto si cerchi di rimediare rimarrà per sempre sbilenca e inadeguata” (da L’amore è una molletta da bucato, trad. it. pag. 18).