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La casa del Maestro
La casa del Maestro

La casa del Maestro

L’insegnante mediocre racconta. Il bravo insegnante spiega. L’insegnante eccellente dimostra. Il maestro ispira.
(Socrate)

Una casetta gialla nel cuore di un piccolo paesino di campagna, a lato in una viuzza stretta una porticina modesta aperta su un cucinino e un salottino in penombra. Non mi soffermo nelle prime due stanze, i miei occhi, abituati alla luce di una giornata invernale, faticano a distinguere i contorni, e mi pento di non avere mai una torcia a portata di mano quando serve. In fondo, si intravvede una scala illuminata da un debole chiarore; i miei passi sono incerti mentre calpesto libri, giornali, e frammenti di vita, ma finalmente raggiungo i gradini e inizio a salire curiosa di vedere cosa mi riserva questo luogo dimenticato. Le esplorazioni a volte regalano scoperte inaspettate. La scala è stretta e ripida, e nel procedere quasi faccio cadere un vaso in bilico sul corrimano. Arrivata in cima, mi sorprende la presenza di mobili antichi, quadri, e statue che, se non fossero ricoperti da uno spesso strato di guano di piccione, sarebbero magnifici. L’odore pungente è difficile da sopportare, ma il luogo è talmente surreale che non posso fare a meno di scattare fotografie. Scoprirò solo dopo che era la dimora di un maestro elementare: colma di quaderni, libri di geografia, ricordi scolastici, e una miriade di statue, molte delle quali simili tra loro. In una parete sono rimasti attaccate delle pergamene con il nome dei suoi alunni e le frasi di ringraziamento per il suo impegno verso di loro negli anni di scuola: carlo, Anna, Giovanni… classe 5° B.

Solo adesso, tornando a casa e riguardando le fotografie che ho scattato, è riemerso un particolare sepolto nella mia memoria. Durante i cinque anni delle elementari, anch’io avevo un maestro: un uomo imponente, dalle mani robuste, che i miei compagni maschi sentivano spesso sulle spalle. Insegnava con voce alta e intervallava le lezioni con due piccoli lavoretti: il punto croce, di cui conservo ancora i fili colorati in qualche cassetto a casa dei miei genitori, e le statuine di gesso, proprio come quelle che ho visto in quella casa: angioletti, busti di madonne con le mani giunte, piccoli quadri raffiguranti bassorilievi floreali. Ricordo il gesso mescolato con l’acqua, le formine ad asciugare e la preghierina recitata al momento di estrarre la figura dallo stampo, sperando che non si rompesse. Questo ricordo era rimasto nei recessi della mia memoria ed è riaffiorato insieme ai ricordi degli interminabili intervalli, dei dettati e delle tabelline recitate in piedi accanto alla cattedra, con l’immancabile grembiule nero e il fiocco bianco.

Alla fine ripensandoci non erano poi così male quelle giornate, tra compiti, corse in bici e bigliettini lanciati tra i banchi, forse avremmo dovuto apprezzarle di più invece di avere tanta fretta di crescere e scappare lontano da quelle piccole cose dal sapore di cose buone

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