Se avete costruito castelli in aria, il vostro lavoro non deve andare perduto; è quello il luogo dove devono essere. Ora il vostro compito è di mettere sotto quei castelli le fondamenta.
(Henry David Thoreau)
Nel mezzo di una conversazione ieri mi hanno detto che io fotografo i mattoni, la polvere, il nulla, ma per me non è stata un’offesa anzi …
Perchè e’ vero io fotografo molte volte quei posti in cui non rimane neanche più l’idea di abbandono, quei luoghi in cui non è rimasto quasi nulla, quelli con i buchi sul tetto, le piante in mezzo alle stanze, le ragnatele e la polvere ovunque.
Fotografo il nulla, cerco di pensare nelle mie fotografie a quello che erano decine di anni fa e mi immagino com’erano dietro quel cumulo di mattoni rimasti, cerco di vedere le persone che ci vivevano, sentire le risate dentro quei saloni, le voci che si sono rincorse in quei corridoi ora traballanti.
Si perchè purtroppo io sono rimasta una visionaria, una che sogna ad occhi aperti e costruisce castelli in aria immaginando che ci siano ancora persone vere che hanno rispetto per gli altri nella vita e che nell’urbex lo hanno per i luoghi abbandonati.
Non rincorro il posto abbandonato alla moda, non cerco la figurina e il modo per passare le giornate, io rincorro le storie di questi ruderi, i luoghi dimenticati dove hanno vissuto delle persone …. STORIES OF DECADENCE lo dico anche nel titolo del mio blog.
Perché fotografando e facendo rivivere questi luoghi forse ritorna in vita anche un pò di chi ci ha vissuto, come quando ricordiamo una persona cara. Vi lascio con una frase del libro che sto leggendo in questi giorni che forse vi aiuterà a capire:
“Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene. E quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo, evaporiamo, e inizia la grande e interminabile festa del Nulla, dove gli aculei della mancanza non possono più pungere nessuno.” (E. Trevi)
Il borgo fotografato in questi scatti , inizialmente denominato solamente castelletto, ha le sue origini nel lontano trecento in cima una collina fra il torrente Freccia e il fiume Merse, come importante nucleo abitativo nei dintorni dell’abbazia di San Galgano. Nel 600 fu acquistato da una famosa famiglia del luogo da cui prese il nome e fu trasformato con la costruzione di un imponente villa centrale caratterizzata da porte e finestre con archi in travertino in cui era scolpito il loro stemma. Qui nacque e ci trascorse buona parte del suo tempo libero specialmente in vecchiaia uno dei più famosi anatomisti italiani nel 700. Me lo sono immaginato camminare tra i vicoli di questo borgo mentre pensava ai suoi studi o alle tavole che avrebbero dovuto completare la sua grande opera di studio dell’anatomia umana. Morì qui tra queste stanze a 65 anni senza essere riuscito a concludere il suo libro pochi anni dopo essere stato anche nominato socio corrispondente dell’Istituto nazionale delle scienze e delle arti di Parigi (sezione di medicina e chirurgia).
Nel 2002 ho letto che una società canadese ha acquistato il borgo con i suoi 180 ettari circostanti di terreno e ha avviato un progetto di recupero finalizzato a trasformar il complesso in una multiproprietà turnaria, detta comunemente timesharing. In realtà non ho trovato traccia di nessun lavoro e il borgo mi pare completamente abbandonato a se stesso
Per fortuna, e non purtroppo, sei rimasta una visionaria e non sei la sola! Io mi riconosco in tutto ciò che hai scritto e solo chi ha la passione come noi di esplorare luoghi ormai abbandonati può capire tutte le emozioni e le sensazioni che essi evocano . . . Maria Grazia